Triduo per San Francesco d’Assisi: Fr. Marius-Petru BÎLHA – 3 Ottobre

Triduo per San Francesco d’Assisi: Fr. Marius-Petru BÎLHA – 3 Ottobre

Triduo in preparazione alla Festa di San Francesco d’Assisi – 3 ottobre

omelia di Fr. Marius-Petru BÎLHA

«Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime».
Gesù ci rivela il volto di Dio non attraverso la potenza dei forti, ma con la mitezza dei piccoli. È la via dei semplici, degli umili, dei bambini: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Questa è la via della speranza: non il potere che schiaccia, ma la fiducia che apre alla vita. I miti custodiscono il segreto del Regno perché accolgono ogni cosa come dono.

San Francesco è stato autentico discepolo di queste parole. Non aveva poteri né ricchezze, anzi rinunciò a tutto, eppure la sua vita divenne luce per la Chiesa e per il mondo, luce che ha attraversato i secoli. Oggi gli storici francescani parlano della “contemporaneità di Francesco”: un compagno di cammino per il nostro tempo, che ci aiuta a vivere la fede in modo autentico.

La sua mitezza lo rendeva fratello universale: del sole, della luna, dell’acqua, della terra, dei poveri e persino del “lupo”, simbolo delle persone difficili, scomode, antipatiche, che ci fanno soffrire. Nel Cantico delle creature Francesco proclama: «Laudato sii, mio Signore, per quelli che perdonano per il tuo amore e sopportano persecuzioni».

Nel Cantico egli canta la speranza dei miti: un mondo in cui nulla è estraneo e persino la “sorella morte corporale” diventa occasione di lode. Celebriamo oggi il Transito proprio perché la morte non è fine a se stessa, ma parte del Mistero Pasquale. Il Transito è la Pasqua di Francesco, colmo di luce, una luce che ancora illumina il nostro cammino.

Il mondo di oggi sembra insegnarci che la terra appartenga ai forti, a chi si impone con violenza. Ma la Sacra Scrittura afferma l’opposto, e Francesco ci ricorda che la regola dei frati — e di tutti coloro che hanno un cuore francescano — è il Vangelo. Ed è il Vangelo a dire: «Beati i miti, perché erediteranno la terra». La speranza dei miti è questa: non possedere ma accogliere, non dominare ma custodire, non imporre ma servire. Così diventano eredi della terra non come padroni, ma come figli che la curano e la proteggono. Gesù ci promette oggi: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». Ecco il tempo giubilare: deporre i pesi inutili che ci rendono schiavi e prigionieri, che bloccano il nostro cammino di fede. Deporre l’ansia del possesso, la durezza del cuore, l’orgoglio del potere e della sopraffazione. Imparare invece la dolcezza della gratitudine e la bellezza della fraternità.

Il Giubileo ci invita a vivere in modo più semplice, sobrio e fraterno, a sentirci davvero fratelli. I fratelli non si scelgono: sono un dono di Dio così come sono, non come noi li vorremmo. Restano sempre fratelli in Cristo. Tutti, senza eccezioni, siamo creati a immagine e somiglianza di Dio: in ciascuno è custodito il seme della divinità. In Cristo siamo la famiglia di Dio, e dunque fratelli tra di noi. Ma il mondo, perdendo il cuore — come ricorda Papa Francesco — ha perso anche il senso della fraternità. L’altro viene percepito come minaccia, come ostacolo. Eppure non possiamo salvarci da soli: ci salviamo come corpo mistico, insieme. Se una parte soffre, tutto il corpo soffre. Quanta indifferenza oggi, dove ognuno pensa soltanto a sé stesso!

Fratelli e sorelle, lasciamoci insegnare dai miti di cuore. Prima di tutto da Gesù, il mite e l’umile per eccellenza, che si è fatto uomo per amore nostro. In Lui vediamo la bellezza della vocazione umana, come ricorda la Gaudium et spes (n. 22). Impariamo la mitezza da Gesù e da Francesco, che nel suo Testamento si definisce «fratello piccolino». Egli non sopraffece mai i suoi frati, neppure quando lo fecero soffrire. Visse due anni di grandi tribolazioni proprio a causa loro, gridando a Dio: «Signore, è la mia intuizione o è la tua ispirazione?». La risposta furono le stimmate: l’amore senza misura, senza interesse, come unica risposta di Dio alle tribolazioni.

La vera forza non è nella prevaricazione, ma nella mitezza. Il mite custodisce, serve, accoglie e diventa strumento di speranza. La mitezza apre al Giubileo interiore, quello del cuore, che non finisce mai: porta libertà dai pesi e gioia di vivere in armonia con Dio, con gli altri e con il creato. Così anche noi, insieme a Francesco, possiamo dire ogni giorno: «Laudato sii, mio Signore, con tutte le tue creature», con tutti i miei fratelli.

 

Immagine: Morte di San Francesco – Assisi, Basilica Superiore di San Francesco (Giotto, 1295-1299)

 

 

 

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